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Tra episodi buffi, ricordi toccanti e affondi teorici, Pennac riscrive una sua pedagogia, mettendo al centro la volontà di ascoltarsi e una certa propensione all’amore. Solo così, suggerisce, è possibile tirare fuori il desiderio di sapere dei ragazzi; desiderio che, al contrario di quanto vogliano farci credere i professoroni e i giornalisti, è più vivo che mai. Serve giusto che qualcuno se ne prenda cura.
«Oggi esistono cinque specie di bambini sul nostro pianeta: il bambino cliente da noi, il bambino produttore sotto altri cieli, altrove il bambino soldato, il bambino prostituto, e sui cartelloni della metropolitana il bambino morente la cui immagine, periodicamente, protende verso la nostra indifferenza lo sguardo della fame e dell'abbandono.Sono bambini, tutti e cinque.Strumentalizzati, tutti e cinque.»
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Avevo già letto qualcosa di Pennac, ma senza entusiasmarmi. Questo suo libro invece è bellissimo. Raccomandatissimo per tutti i genitori e studenti, ancor più per quelli che fanno fatica a scuola.
Un bel tuffo nella scuola dal punto di vista sia dello studente sia dell'insegnante... è un racconto che sogna una scuola capace di far osare tutti nel volo della propria vita.
Non certo un romanzo di formazione, ma una testimonianza sul lavoro quotidiano di educazione, alle prese con difficoltà, appagamenti e grandi delusioni. Sullo sfondo resta il piacere della professione d'insegnante, il frizzante e coinvolgente contatto con la freschezza delle nuove generazioni, di cui occorre avere fiducia e prendersi cura, senza indugiare nel postulato anacronistico del: «Ai nostri tempi, noi avremmo fatto meglio». Pennac, come Sartre, preferisce il lavoro nelle retrovie, il lavoro di costruzione dell'impalcatura necessaria non solo per gli studi successivi, ma per la vita da affrontare quando termina il periodo di estrema protezione che offre la scuola. E la soddisfazione più grande, per l'insegnante, sta nel gestire gli alunni difficili, perché quelli bravi non hanno certamente bisogno di una guida. Se il docente è uno dei protagonisti del volume di Pennac, certamente l'altro è rappresentato dall'«asinello», l'alunno demotivato, svogliato o giudicato semplicemente incapace. Con Pennac emerge il punto di vista dell'ultimo della classe, la sua solitudine, il lento processo di autopersuasione che conduce a prendere consapevolezza del fatto di essere una nullità, nonché l'atroce circostanza di deludere quotidianamente i propri genitori. Una volta ho sentito dire da qualcuno: «se non sai far nulla, allora fai il professore»; non so se c'è più mediocrità tra gli insegnanti o in altri settori della classe dirigente, ma non sottovalutiamo il fatto che molto spesso i docenti diventano veri e propri punti di riferimento per i giovani che costruiscono pezzo dopo pezzo il loro futuro e la loro personalità.
Recensioni
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Diario di scuola
«Oggi esistono cinque specie di bambini sul nostro pianeta: il bambino cliente da noi, il bambino produttore sotto altri cieli, altrove il bambino soldato, il bambino prostituto, e sui cartelloni della metropolitana il bambino morente la cui immagine, periodicamente, protende verso la nostra indifferenza lo sguardo della fame e dell'abbandono. Sono bambini, tutti e cinque. Strumentalizzati, tutti e cinque.»
Per fortuna questo libro sono già in molti ad averlo letto, ma dovrebbe esserne obbligatoria la lettura nelle scuole di ogni ordine e grado e, soprattutto, per insegnanti e per genitori di ragazzi non proprio brillanti.
Con grande coerenza Pennac, questo strabiliante narratore, questo mago dell'intreccio, questo genio dell'intrattenimento intelligente, ha deciso di raccontare la propria storia di "asino", scolasticamente parlando.
Credo che ogni studente che soffre per i propri miseri risultati, ogni ragazzo che sente di non farcela proprio a seguire i ritmi della classe, possa trovare in queste pagine quell'energia morale, quella spinta che tutte le critiche che sulle spalle gli hanno tolto.
Fin dal primo anno di scuola Daniel si è mostrato in seria difficoltà davanti all'apprendimento (un anno intero per imparare la prima lettera dell'alfabeto) e, col trascorrere del tempo, le cose non sono andate meglio.
A quel punto i genitori, in particolare un padre molto spiritoso e solo apparentemente distratto, hanno scelto per lui il collegio.
Ecco così da parte di Pennac un imprevedibile "elogio del collegio": almeno la vita da interno impedisce "all'asino" la fatica di inventare doppie bugie, per i genitori e per gli insegnanti. Costringe allo studio in ore stabilite, permette una maggiore conoscenza tra insegnanti e studenti e poi può anche capitare di trovare qualche salvatore, qualcuno cioè che sappia dare quella fiducia e quegli impulsi capaci di fare emergere le qualità nascoste. E Daniel Pennac dichiara di dovere ad alcuni insegnanti la sua vita di persona riuscita e di insegnante.
La laurea in lettere nel 1969 e poi l'insegnamento (il padre gli scriverà più o meno questo concetto: se ci è voluta una rivoluzione per farti prendere una laurea, per il dottorato ci vorrà almeni una terza guerra mondiale...) e migliaia di ragazzi, molti dei quali "asini", passati davanti a lui e come dirà spesso "diventati", cioè cresciuti e rivisti a volte dopo molti anni.
Ma quanto è grande il dolore di chi non capisce? E come è difficile pensare: "non ci arriverò mai"! Pennac ci regala una vera lezione, ci fa capire come è possibile insegnare, ad esempio la grammatica, facendola capire anche a chi è un po' più "lento" rispetto alla media degli studenti e rispetto alle esigenze del professore.
C'è un'indicazione fondamentale per capire la differenza tra un "buon" professore e uno "cattivo": è buono quello che riesce a calarsi davvero nella classe.
E poi è necessario sfatare certe idee: il dettato, la valutazione, lo studio a memoria sono cose che possono essere valide o dannose a seconda di come vengono proposte. Seguono esempi molto efficaci di come certe tecniche d'insegnamento tradizionalmente odiate possono invece diventare divertenti e, soprattutto, utilissime.
L'esperienza di professore Pennac l'aveva fatta nei primi anni con classi particolarmente difficili: classi differenzaili che molti definivano soprattutto "delinquenziali" e la sua carriera ha visto anche sconfitte mai dimenticate. Il libro prosegue con piacevolissimi aneddoti che raccontano lo scrittore mentre sta scrivendo il libro, mentre ascolta alla radio dibattiti su un film visto, mentre pensa alla moglie, mentre dialoga con dei ragazzi sconvolti di ritrovare nei suoi libri le parolacce che usano quotidianamente, quando incontra un ragazzo con cui ha (sbagliando) un comportamento da adulto giudicante...
Dopo tante critiche, viene tessuto l'elogio dei buoni insegnanti, l'elogio dell'istituzione denigrata che può essere per alcuni l'unica salvezza. Ma oggi i ragazzi sono gli stessi di qualche decennio fa? "Strappato alla società industriale nell'ultimo quarto del XIX secolo, fu consegnato cento anni dopo alla società di mercato che ne fece un bambino cliente": è un consumatore, un cliente quello che oggi i professori si trovano davanti. Alcuni ragazzi dispongono del denaro dei genitori, altri si arrangiano. Spesso il professore non è preparato, non sa di avere davanti a sé un bambino cliente. Però lo può salvare "l'amore", parola che non si dovrebbe usare ma che ha un potere magico.
Come magica è la capacità di Pennac di entrare nelle nostre coscienze, divertendoci con la leggerezza con cui sa affrontare temi difficili, con il brio di una pagina piena di spunti di fantasia, di genio. Ma chi avrebbe mai scommesso su di lui quando era solo e semplicemente un asino?
Recensione di Grazia Casagrande
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